Avevo spostato il mio letto perché tu non potessi raggiungermi.
Mi guardavi, dall’alto del tuo trono di bava.
Neanche me ne accorgevo e già tu mi stavi studiando.
Ero appena entrata nella stanza e ti sei spostato di qualche centimetro lungo il muro.
C’è stato subito qualcosa che non mi convinceva, ma dopo aver spostato il mio letto ho voluto darti fiducia.
Sbagliato!
All’inizio non potevo smettere di guardare le tue 8 zampette.
Ad un certo punto mi accorsi che sembravano coperte di leggera peluria.
Un brivido giù per la schiena.
Mi hanno sempre fatto profondamente schifo i ragni, tanto più quelli pelosetti come te.
Ma ho voluto avere coraggio. Ho sperato che tu avessi un’anima buona e ho creduto in te.
Sbagliato!
Eravamo nella stessa stanza, non ho detto a nessuno che eri lì.
Io su un letto a una piazza e mezza e tu bavosamente attaccato al tuo angolo di muro.
Ti ho parlato prima di addormentarmi.
“Caro ragno, siamo soli io e te, in questa stanza d’albergo. Da piccola avrei gridato e ti avrei fatto schiacciare dalla prima ciabatta a portata di mano. Ma ora sono cresciuta, voglio darti fiducia.
Tu stai lì, io sto qui. Ci rispettiamo”.
Mi sembrava che avessi capito.
Sembravi addirittura un ragno perbene.
Ho scoperto poi che hai saputo ben celare la tua vera natura. Neanche i ragni possono fingersi buoni troppo a lungo. Prima o poi la natura si svela.
Ho abbassato la luce, mi piace dormire con un filo di luce rassicurante.
Stanchissima dopo una giornata di viaggio memorabile Cremona-Lussemburgo, ho finalmente chiuso gli occhi, profumosa dopo la doccia, nel mio pigiama a maniche lunghe.
Hotel a 3 stelle in Lussemburgo. Stanza d’albergo tendenzialmente bianca, mobili ikea scuri, bagno cieco, doccia scomoda, asciugamano senza profumo.
Nel momento in cui ho abbassato la guardia ed ero esausta tra le braccia di un Morfeo agitato, tu, codardo, mi hai attaccato senza motivo. Vedevi le ciabatte lontane da te e spavaldo hai pensato di fare il colpaccio.
Usando la tua bava invisibile sei sceso.
Sbavando ti sei appoggiato su di me.
Ti sei infilato nella manica del mio pigiama approfittando del mio profondo sonno indifeso.
E lì, vigliacco, mi hai morso.
Nel cuore del mio corpo di acrobata aerea.
Nell’interno del bicipite, dove la pelle è appena più morbida.
Vigliacco.
Al mattino eri sparito, schifoso codardo.
Sul mio braccio una puntura troppo grande.
Troppo grande per un morso di insetto.
Prurito e dolore, gonfiore crescente.
So che, nascosto, tu stavi a sghignazzare,fingendoti malinconico e innocente.
Indolente, stravaccato sul tuo trono invisibile fatto di bava appiccicosa.
Troppo male, troppo gonfiore.
Il dottore era perplesso.
Nel suo francese di Lussemburgo spiegò che mai aveva visto una cosa così. Un morso feroce di ragno in un hotel in città. Pur avendocelo sotto le dita, sembrava faticasse a credere al mio braccio gonfio.
Mi guardava negli occhi in un modo un po’ obliquo.
Troppo male, troppo gonfiore.
Una piccola flebo, una medicina, l’indicazione di una pomata e una stretta di mano molto umana.
In ordine sparso seguirono poi altre medicine senza prescrizione: risate, caffè deca, patatine di mais e comprensione.
Ancora troppo male, troppo gonfiore.
Ma io non mollo. E il mio spettacolo l’ho fatto comunque.
Diverse ore più tardi rientrammo in albergo. Il proprietario dopo un primo momento di grande incredulità ha capito e ha iniziato a infilare una scusa dietro l’altra come perle in una collana di imbarazzo.
Cortesemente mi ha poi cambiato di stanza (e di piano), insistendo per portare la mia valigia e il mio zaino.
Dopo un’attenta ispezione a mura e angoli nascosti ero di nuovo da sola ma al sicuro.
Vigliacco peloso.
Mi pareva di vederti sghignazzare dall’alto dei 280 centimetri di muro che tu pensi rappresentino il tuo rifugio sicuro.
Ti credi tanto in alto. E dopotutto, resti lì a sbavare.
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Mesi dopo, 6 ore di fuso orario prima, migliaia di km più in là.
Entro nella stanza.
Aria condizionata debole.
Tende beige.
Moquette storica a terra.
Cina.
Ti vedo subito.
Sei lì.
Puoi anche nasconderlo, ma dentro di te so che stai già tremando.
Alla signora che sistema le stanze non sfugge nulla. Nota la mia risatina a voce troppo alta e anche i miei commenti coloriti mentre parlo da sola in italiano. Esco dalla stanza.
Lei gira la testa verso di me.
Scambio di sguardi.
Con un sorriso le dico “Nihao scusi per favore potrebbe venire qui?” e la invito con le braccia nel modo più cordiale che trovo.
No, lei non capisce l’italiano, ma è una vera professionista e a volte basta poco per capirsi tra donne.
Indico il punto sul muro dove c’eri tu.
Maledetto, già ti stai spostando.
Cacasotto.
Con poche parole e gesti spiego alla signora che tu mi fai schifo.
Lei capisce subito. Risponde qualcosa di completamente incomprensibile per me, ma che realmente significava: “Non si preoccupi, ora chiamo qualcuno”.
Mentre aspetto ti osservo.
Un brivido di schifo mi corre giù per la schiena.
Ora non ti muovi più.
Forse ti stai fingendo morto?
No, sei solo un cacasotto.
Torna la signora accompagnata da un signore cinese, che portava una scialba divisa e una cassetta degli attrezzi molto vissuta.
Non si fa problemi.
Mentre io cerco di spiegare a parole, ma soprattutto a gesti, che possono anche solo scaraventarti fuori dal settimo piano senza ucciderti, le mie parole stavolta non sono prese in considerazione.
Accade in un lampo.
Il signore prende una sedia, la sistema sotto di te, si toglie una scarpa e SBAM.
Davvero.
Un solo, unico SBAM.
Un suono sordo, non ha neanche fatto troppo rumore.
Il signore ti stacca da sotto la sua scarpa e ti fa annegare nella tazza del cesso.
Tira l’acqua.
La signora pulisce i tuoi resti dalla carta da parati usando carta igienica inumidita.
Escono sorridendo, dicendomi cose che comprendo solo a metà.
La metà comprensibile era: “Non si preoccupi signorina, quel cacasotto che l’ha vigliaccamente morsa nel sonno senza motivo ha avuto quello che si meritava. Stia karma, nella vita tutto torna”.
Buonanotte Qingdao.
Mi guardavi, dall’alto del tuo trono di bava.
Neanche me ne accorgevo e già tu mi stavi studiando.
Ero appena entrata nella stanza e ti sei spostato di qualche centimetro lungo il muro.
C’è stato subito qualcosa che non mi convinceva, ma dopo aver spostato il mio letto ho voluto darti fiducia.
Sbagliato!
All’inizio non potevo smettere di guardare le tue 8 zampette.
Ad un certo punto mi accorsi che sembravano coperte di leggera peluria.
Un brivido giù per la schiena.
Mi hanno sempre fatto profondamente schifo i ragni, tanto più quelli pelosetti come te.
Ma ho voluto avere coraggio. Ho sperato che tu avessi un’anima buona e ho creduto in te.
Sbagliato!
Eravamo nella stessa stanza, non ho detto a nessuno che eri lì.
Io su un letto a una piazza e mezza e tu bavosamente attaccato al tuo angolo di muro.
Ti ho parlato prima di addormentarmi.
“Caro ragno, siamo soli io e te, in questa stanza d’albergo. Da piccola avrei gridato e ti avrei fatto schiacciare dalla prima ciabatta a portata di mano. Ma ora sono cresciuta, voglio darti fiducia.
Tu stai lì, io sto qui. Ci rispettiamo”.
Mi sembrava che avessi capito.
Sembravi addirittura un ragno perbene.
Ho scoperto poi che hai saputo ben celare la tua vera natura. Neanche i ragni possono fingersi buoni troppo a lungo. Prima o poi la natura si svela.
Ho abbassato la luce, mi piace dormire con un filo di luce rassicurante.
Stanchissima dopo una giornata di viaggio memorabile Cremona-Lussemburgo, ho finalmente chiuso gli occhi, profumosa dopo la doccia, nel mio pigiama a maniche lunghe.
Hotel a 3 stelle in Lussemburgo. Stanza d’albergo tendenzialmente bianca, mobili ikea scuri, bagno cieco, doccia scomoda, asciugamano senza profumo.
Nel momento in cui ho abbassato la guardia ed ero esausta tra le braccia di un Morfeo agitato, tu, codardo, mi hai attaccato senza motivo. Vedevi le ciabatte lontane da te e spavaldo hai pensato di fare il colpaccio.
Usando la tua bava invisibile sei sceso.
Sbavando ti sei appoggiato su di me.
Ti sei infilato nella manica del mio pigiama approfittando del mio profondo sonno indifeso.
E lì, vigliacco, mi hai morso.
Nel cuore del mio corpo di acrobata aerea.
Nell’interno del bicipite, dove la pelle è appena più morbida.
Vigliacco.
Al mattino eri sparito, schifoso codardo.
Sul mio braccio una puntura troppo grande.
Troppo grande per un morso di insetto.
Prurito e dolore, gonfiore crescente.
So che, nascosto, tu stavi a sghignazzare,fingendoti malinconico e innocente.
Indolente, stravaccato sul tuo trono invisibile fatto di bava appiccicosa.
Troppo male, troppo gonfiore.
Il dottore era perplesso.
Nel suo francese di Lussemburgo spiegò che mai aveva visto una cosa così. Un morso feroce di ragno in un hotel in città. Pur avendocelo sotto le dita, sembrava faticasse a credere al mio braccio gonfio.
Mi guardava negli occhi in un modo un po’ obliquo.
Troppo male, troppo gonfiore.
Una piccola flebo, una medicina, l’indicazione di una pomata e una stretta di mano molto umana.
In ordine sparso seguirono poi altre medicine senza prescrizione: risate, caffè deca, patatine di mais e comprensione.
Ancora troppo male, troppo gonfiore.
Ma io non mollo. E il mio spettacolo l’ho fatto comunque.
Diverse ore più tardi rientrammo in albergo. Il proprietario dopo un primo momento di grande incredulità ha capito e ha iniziato a infilare una scusa dietro l’altra come perle in una collana di imbarazzo.
Cortesemente mi ha poi cambiato di stanza (e di piano), insistendo per portare la mia valigia e il mio zaino.
Dopo un’attenta ispezione a mura e angoli nascosti ero di nuovo da sola ma al sicuro.
Vigliacco peloso.
Mi pareva di vederti sghignazzare dall’alto dei 280 centimetri di muro che tu pensi rappresentino il tuo rifugio sicuro.
Ti credi tanto in alto. E dopotutto, resti lì a sbavare.
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Mesi dopo, 6 ore di fuso orario prima, migliaia di km più in là.
Entro nella stanza.
Aria condizionata debole.
Tende beige.
Moquette storica a terra.
Cina.
Ti vedo subito.
Sei lì.
Puoi anche nasconderlo, ma dentro di te so che stai già tremando.
Alla signora che sistema le stanze non sfugge nulla. Nota la mia risatina a voce troppo alta e anche i miei commenti coloriti mentre parlo da sola in italiano. Esco dalla stanza.
Lei gira la testa verso di me.
Scambio di sguardi.
Con un sorriso le dico “Nihao scusi per favore potrebbe venire qui?” e la invito con le braccia nel modo più cordiale che trovo.
No, lei non capisce l’italiano, ma è una vera professionista e a volte basta poco per capirsi tra donne.
Indico il punto sul muro dove c’eri tu.
Maledetto, già ti stai spostando.
Cacasotto.
Con poche parole e gesti spiego alla signora che tu mi fai schifo.
Lei capisce subito. Risponde qualcosa di completamente incomprensibile per me, ma che realmente significava: “Non si preoccupi, ora chiamo qualcuno”.
Mentre aspetto ti osservo.
Un brivido di schifo mi corre giù per la schiena.
Ora non ti muovi più.
Forse ti stai fingendo morto?
No, sei solo un cacasotto.
Torna la signora accompagnata da un signore cinese, che portava una scialba divisa e una cassetta degli attrezzi molto vissuta.
Non si fa problemi.
Mentre io cerco di spiegare a parole, ma soprattutto a gesti, che possono anche solo scaraventarti fuori dal settimo piano senza ucciderti, le mie parole stavolta non sono prese in considerazione.
Accade in un lampo.
Il signore prende una sedia, la sistema sotto di te, si toglie una scarpa e SBAM.
Davvero.
Un solo, unico SBAM.
Un suono sordo, non ha neanche fatto troppo rumore.
Il signore ti stacca da sotto la sua scarpa e ti fa annegare nella tazza del cesso.
Tira l’acqua.
La signora pulisce i tuoi resti dalla carta da parati usando carta igienica inumidita.
Escono sorridendo, dicendomi cose che comprendo solo a metà.
La metà comprensibile era: “Non si preoccupi signorina, quel cacasotto che l’ha vigliaccamente morsa nel sonno senza motivo ha avuto quello che si meritava. Stia karma, nella vita tutto torna”.
Buonanotte Qingdao.